Perché parlare e riparlare della eccessiva e progressiva militarizzazione della Sicilia da parte degli USA? E’ un interrogativo che ci pongono anche i nostri lettori, e noi rispondiamo semplicemente “perché è un argomento importante, che interessa o dovrebbe interessare tutti i Siciliani e perché è un argomento che chi governa a livello regionale e nazionale non intende (per quel che risulta) porre sul tappeto, e perché la militarizzazione (così come è) costituisce una grave minaccia per tutta l’Isola”.
Oggi ne riparliamo poiché abbiamo visto che anche un quotidiano nazionale, Il Giornale, tratta questo spinoso argomento con un reportage di Franco Iacch, nudo e crudo, senza polemiche e probabilmente solo con l’intenzione d’informare e non di denunciare una situazione al limite di una pacifica comprensione. E proprio per dare modo anche a quanto non leggono Il Giornale che noi riportiamo questo reportage, facendolo seguire da uno dei tanti articoli già pubblicati su La Voce dell’Isola.
IL GIORNALE – 26 novembre 2017
Operativo il quinto satellite Muos
e a Sigonella arrivano i droni Triton
Di Franco Iacch
Il quinto satellite della costellazione Mobile User Objective System (MUOS) è pienamente operativo. E’ quanto comunica il Communications Satellite Program Office della US Navy. Il MUOS-5 è stato posto sotto il comando del NASVOC o Naval Satellite Operations Center dopo la configurazione effettuata dall’Army Forces Strategic Command (ARSTRAT) per supportare tutte le comunicazioni satellitari UHF della Marina. Per facilitare la transizione da UHF a WCDMA i cinque satelliti MUOS in orbita sono stati progettati con due payload per le comunicazioni. Il Mobile User Objective System è stato progettato per fornire ai militari maggiori capacità di comunicazione rispetto ai sistemi esistenti. I quattro satelliti (più uno di riserva) MUOS in orbita geostazionaria, sono dotati di Code Division Multiple Access a banda larga (WCDMA) con una velocità di trasmissione 16 volte maggiore rispetto l’attuale sistema satellitare Ultra High Frequency (UHF). Ogni satellite MUOS è pienamente compatibile anche con le precedenti frequenze utilizzate così da assicurare una transizione fluida nella tecnologia WCDMA, mandando in pensione il sistema UFO (UHF Follow-On).
Le quattro stazioni MUOS
Il Mobile User Objective System si basa su quattro stazioni di terra associate ad un satellite. Ogni stazione ospita tre antenne paraboliche alte come un palazzo di dieci piani e larghe venti metri. La prima stazione sorge presso l’Australian Defence Satellite Communications Station, a Kojarena, circa 30 km a est di Geraldto. La seconda nella SATCOM Facility, Northwest, Chesapeake nel Sud-Est della Virginia, la terza nelle Hawaii. Il quarto sito si trova a Niscemi, in Sicilia, a circa 60 km dalla Naval Air Station di Sigonella. Costruita nella riserva della Sughereta, l’impianto sorge nella stessa zona sono attive le 46 antenne del Naval Radio Transmitter realizzate nel 1991.
Come funziona il MUOS
Il MUOS è stato concepito come un sistema onnipresente. Ogni satellite si interfaccia costantemente con due stazioni di terra. La seconda opzione riduce un’improvvisa interruzione di trasmissione causata dalla possibile perdita del segnale di un satellite con una delle due stazioni. E’ come se soldati e piattaforme sul campo disponessero sempre ed in qualsiasi parte del mondo di una connessione stabile ad alta velocità, senza la necessità fisica di una cella, così come avviene per i cellulari. Tutte le piattaforme sono quindi collegate alla stessa rete geostazionaria. In questo modo, secondo le specifiche del Mobile User Objective System, si dovrebbero prevenire errori e decisioni sbagliate causate dalla mancanza di informazioni in tempo reale provenienti dal campo di battaglia. Il MUOS-5 è stato lanciato il 24 giugno dello scorso anno e si trova in orbita geostazionaria a 22.000 miglia di distanza. Una successiva anomalia nel satellite ha richiesto una manovra di trasferimento in orbita intermedia per consentire alla squadra MUOS di valutare la situazione e determinare le soluzioni da adottare. L’intera flotta sottomarina statunitense, dopo i test con i boomer, è interfacciata con la costellazione MUOS.
Sigonella, in Sicilia, è il cuore dell’Alliance Ground Surveillance, il più importante asset della NATO per missioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione (Joint Intelligence, Surveillance e Reconnaissance – JISR). La base siciliana raggiungerà la Full Operational Capability nel 2018. L’AGS è composto da due segmenti: quello aereo basato sulla piattaforma robotica Hale (High-Altitude Long-Endurance Unmanned Aircraft System) Globak Hawk RQ-4 Block 40 e quello a terra a cui è demandata sia la capacità di controllo della missione che l’analisi, distribuzione ed archiviazione dei dati. Sigonella ospita sia il MOS o Mission Operation Support che l’Air Vehicle Missions Command and Control (AVMC2), compreso l’intero apparato logistico.
Il primo contractor del programma AGS è la Northrop Grumman che ha firmato nel maggio del 2012 un contratto da 1,7 miliardi dollari per una flotta di cinque Global Hawk con radar MP-RTIP. Il team industriale primario comprende EADS Deutschland GmbH (Cassidian), Selex Galileo e Kongsberg, ICZ, AS, Retia, AS, Aktors OÜ, Komerccentrs DATI grupa, Elsis LTD., Konstrukta-Difesa, AS, COMTRADE DOO, Bianor, Technologica, ZTA dC, SELEX ELSAG, Elettra Communications, UTI Systems e SES. Le 15 nazioni partecipanti sono Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Stati Uniti. Tutte le 28 nazioni dell’alleanza sosterranno il programma a lungo termine.
Il segmento aereo del programma AGS si basa sul drone RQ-4, in grado di volare ad altitudini massime di 60.000 piedi per più di 32 ore a velocità prossime ai 340 nodi, ben al di sopra dello spazio aereo occupato dal traffico commerciale. L’RQ-4 può operare a duemila miglia nautiche dalla sua base operativa principale. E’ ritenuta la migliore piattaforma robotica esistente per missioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione in grado di sorvegliare in un solo giorno centomila chilometri quadrati di terreno. Il radar ad apertura sintetica ad alta definizione MP-RTIP, è in grado di rilevare e tracciare ogni oggetto a terra e missili da crociera a bassa quota.
UAS SATCOM Relay Pads and Facility
L’UAS SATCOM Relay Pads and Facility di Sigonella, ospiterà tutte le attrezzature necessarie a supportare le telecomunicazioni via satellite degli aerei senza pilota ed assicurare lo spazio per la gestione delle operazioni e delle attività di manutenzione dei droni in dotazione all’US Air Force e all’US Navy. Nel nuovo centro saranno installati dodici ripetitori UAS SATCCOM con antenne, macchinari e generatori di potenza con la possibilità di aggiungerne altri otto della stessa tipologia. Il progetto prevede inoltre tutti i sistemi infrastrutturali, meccanici, elettrici, stradali, di prevenzione incendi ed allarme per supportare il sito per le comunicazioni satellitari. La costruzione di una SATCOM Antenna Relay facility è necessaria per supportare i link di comando dei velivoli controllati a distanza, in modo da collegare le stazioni presenti negli Stati Uniti con gli aerei senza pilota operativi nella regione dell’Oceano atlantico. Con il completamento di questo progetto saranno soddisfatte le richieste a lungo termine di ripetitori SATCOM per i Predator (MQ-1), i Reaper (MQ-9) ed i Global Hawk (RQ-4). Il nuovo sito supporterà inoltre il sistema si sorveglianza aeronavale con velivoli senza pilota UAV Broad Area Maritime Surveillance (BAMS) dell’US Navy e le missioni speciali del Big Safari dell’Air Force. Il nuovo centro di Sigonella coordinerà tutti i droni militari americani a supporto dei principali comandi strategici per fornire informazioni aggiornate ai reparti combattenti. Il sito di Sigonella garantirà la metà delle trasmissioni dei velivoli senza pilota UAS e opererà in appoggio al sito di Ramstein, in Germania. La SATCOM Communications Support Facility avrà un’estensione di 1.200 metri quadri. Il nuovo UAS Satcom Relay di Sigonella opererà come stazione gemella dell’infrastruttura ospitata in Germania, assicurando l’indispensabile backup alle operazioni d’intelligence e di telecomunicazione satellitare di Ramstein. La principale base per le operazioni su scala planetaria dei droni USA si trova nella Creech Air Force Base, in Nevada. L’UAS Satcom Relay di Sigonella garantirà un costante flusso di dati per consentire ai piloti nel Nevada di manovrare i droni in tempo reale a migliaia di chilometri di distanza. Tutte le strutture saranno completate entro il prossimo anno.
Sigonella ospita i cinque Global Hawk del sistema Alliance Ground Surveillance, diversi sistemi UAV dell’USAF ed il 61° Gruppo Volo, unità distaccata del 32° Stormo “A. Boetto” di Amendola da cui dipende anche il 28° Gruppo Volo, è equipaggiato con l’MQ-1C Predator A+. L’US Navy ha già confermato che in futuro schiererà a Sigonella un contingente MQ-4C Triton. Il 13 novembre scorso la US Navy ha ricevuto Northrop Grumman il primo drone MQ-4C Triton operativo. Il Triton MQ-4C si basa sull’RQ-4N, variante marittima dell’RQ-4B Global Hawk.
Il sistema HALE (High-altitude, long-endurance) si trova attualmente presso la Naval Base Ventura County Point Mugu, sede dell’Unmanned Patrol Squadron (VUP) 19, primo squadrone UAV della Marina degli Stati Uniti. I Triton sono pilotati in remoto dalla Naval Air Station (NAS) di Jacksonville, in Florida. I primi due MQ-4C saranno schierati a Guam entro il prossimo anno così da garantire i primi pattugliamenti in configurazione orbitale. Triton è un sistema senza equipaggio che garantisce il pattugliamento marittimo persistente in missioni C4ISR e capacità di attacco marittimo. Il programma è gestito dal Persistent Maritime Unmanned Aircraft Systems Program Office. La piattaforma può volare fino a 55.000 piedi per un massimo di 24 ore e garantire un flusso costante di dati per la rilevazione, classificazione e localizzazione delle navi. Northrop Grumman consegnerà 68 droni alla Marina come parte dell’iniziativa Triton. La flotta BAMS (broad area maritime surveillance) sarà schierata a Mayport, in Florida, nell’isola di Guam e a Sigonella, in Sicilia. Future implementazioni riguarderanno anche il Medio Oriente.
L’UAS ha una lunghezza di 14,5 metri, un’altezza di 4,7 metri ed un’apertura alare di 39,9 metri. Il suo carico utile interno massimo è di 1.452 kg, quello esterno di 1.089 kg. La suite avionica comprende un radar multifunzione con sensore attivo, radar elettro-ottico / infrarosso ed un ricevitore del sistema di identificazione automatica. Il sistema di targeting multispettrale MTS-B esegue il tracciamento del target automatico e produce immagini ad alta risoluzione. E’ propulso da turbofan Rolls-Royce AE3007H che gli garantisce una velocità massima di 570 km/h.
LA VOCE DELL’ISOLA 6 Gennaio 2016
Sigonella e i “patti segreti” fra USA e Italia
di Salvo Barbagallo
Da anni, e in più circostanze La Voce dell’Isola” si è occupata della progressiva militarizzazione della Sicilia: più che “militarizzazione” nazionale, l’abbiamo definita “occupazione militare” del territorio siciliano da parte di forze straniere (anche se definite “alleate”), quelle degli Stati Uniti d’America. Sin dagli inizi degli Anni Cinquanta gli USA hanno preso “possesso” di larghe aree dell’Isola senza tenere in alcun conto la “sovranità” di una Regione autonoma retta da uno Statuto Speciale, come era ed è, appunto, la Sicilia. In realtà la progressiva espansione di installazioni statunitensi è stata possibile grazie a Trattati bilaterali Italia-USA che hanno disconosciuto in maniera totale quanto stabilito nel Trattato di pace fra l’Italia e le Potenze Alleate ed Associate sottoscritto a Parigi il 10 febbraio del 1947. Trattati bilaterali Italia-USA in più tempi e in più modalità che non hanno tenuto conto di una “eventuale” volontà contraria da parte del Governo regionale. Volontà “contraria”, comunque, mai espressa da chi ha governato in passato e da chi governa oggi. La proliferazione delle basi statunitensi in Sicilia, pertanto, è proseguita indisturbata, e solo in un caso, quando vennero dislocati a Comiso 112 missili Cruise USA operativi a partire dal 30 giugno 1983, si registrò una forte reazione popolare e politica, tanto forte ed efficace che i micidiali ordigni vennero trasferiti altrove, fuori Italia. Le proteste di oggi, purtroppo, appaiono folkloristiche, inutili, soprattutto perché sprovviste del supporto politico regionale e nazionale.
Gli scenari di quegli anni, quelli della “guerra fredda”, sono lontani, ma altri scenari ancora più allarmanti si sono aperti nel Mediterraneo e nel vicino Oriente, con eventi che ormai tutti possono seguire quotidianamente sui mass media.
Dagli Anni Cinquanta ad oggi la presenza militare USA in Sicilia si è estesa con una miriade di installazioni: poche in verità quelle note da Sigonella ad Augusta, da Niscemi (con il MUOS sicuramente già operativo anche se non in forma “ufficiale) a Trapani. Diverse installazioni rimangono ignote e coperte da segreto militare. Si presuppone anche che nei depositi di munizioni (ad Augusta? A Sigonella stessa?) siano ammassate bombe nucleari.
Ci si chiede come una situazione del genere sia permessa dal governo nazionale, tenuto conto che anche se “formalmente” ogni cosa sia sotto il controllo italiano, l’autonomia operativa delle forze statunitensi è totale. Ci si chiede il perché tutto ciò sia stato concesso, e perché il governo della Regione Siciliana non sia mai intervenuto in merito.
Una risposta l’ha fornita Agostino Spataro, deputato del PCI per tre legislature, già componente della VII Commissione (Difesa) che ci ha rimandato ad un suo articolo del 2007, che riproponiamo a seguire poiché nonostante gli anni trascorsi non ha perduto la sua attualità.
PATTI SEGRETI E FINTI BISTICCI
di Agostino Spataro *
La polemica infuria e la protesta monta intorno al via libera dato da Prodi all’enorme ampliamento della base militare Usa di Vicenza, pattuito e autorizzato dal precedente governo Berlusconi.
In questo tourbillon di posizioni e di legittime proteste c’è qualcosa di non detto, una sorta di ipocrisia che certo non aiuta a fugare le giuste preoccupazioni dei vicentini, anzi le aggrava.
Sullo sfondo, oscuro, di questa vicenda si agitano aspetti delicati riguardanti la sicurezza e la sovranità dell’Italia che, per altro, potrebbero mettere a dura prova la coesione dell’attuale maggioranza, offrendo spunto a Berlusconi e soci di tentare un’insidiosa manovra per debilitare e dividere il centro sinistra.
Una trappola in cui non si dovrebbe cadere, senza per questo rinunciare ai chiarimenti necessari e ad esperire tutti i tentativi possibili per concordare con l’amministrazione statunitense eventuali modifiche alle intese precedenti. Uscendo dalle logiche del fatto compiuto e dei diktat, inammissibili fra paesi sovrani e alleati.
Sopra tutto aleggia un interrogativo che nessuno ha posto in questo acceso dibattito: Prodi poteva negare agli Usa il via libera?
Certo, egli avrebbe potuto agire diversamente, più collegialmente e tenendo in maggior conto la volontà delle popolazioni locali, ma- credo- che, per il tipo di relazioni bilaterali vigenti in materia, non avrebbe potuto decidere diversamente.
E non si tratta di filo o di anti americanismo. Queste sono sciocchezze cui ricorrono coloro che sono stati presi con le mani nel sacco. Si tratta di ben altro che richiama la natura segreta e fortemente vincolante del sistema di accordi bilaterali fra Italia e Usa a proposito di basi e servitù militari.
Per Prodi questo passaggio è stato sicuramente solitario e drammatico, anche se poteva risparmiarci l’infelice boutade della “questione urbanistica”. Ai piani alti del governo e della politica si sa che così non è.
Bisognava parlare chiaro e, al limite, investire la responsabilità del Parlamento.
Il no italiano poteva essere espresso (e non lo fu) solo in sede di negoziazione della richiesta d’ ampliamento avanzata dall’amministrazione Usa.
In quella sede il governo Berlusconi ha acconsentito e sicuramente sottoscritto il relativo patto, con tutti i vincoli derivanti.
Perciò, nessuno crede al fatto che tali patti non esistano o siano sconosciuti ai responsabili. Due sono i casi: o si è trattato di una graziosa concessione, sulla parola, del governo Berlusconi o di un patto sottoscritto (dai due governi) e classificato segreto. Nel primo caso l’accordo non avrebbe alcuna legittimità e validità, nel secondo caso il governo in carica avrebbe dovuto conoscerlo.
Spiace che non siano stati informati, nelle forme dovute, Parlamento e cittadini.
Data la natura vincolistica degli accordi bilaterali esistenti fra Italia e Usa (che più avanti indicheremo) a Prodi non restavano molte carte da giocare. Forse, si poteva (e si potrebbe ancora) trattare una diversa allocazione.
La verità è che, tuttora, si sconoscono gli oneri e i vincoli contratti con tale patto e quindi non si può prevedere l’impatto che avrà sulla città di Vicenza in termini di vivibilità e di sicurezza e in generale sul Paese visto che comporta una certa cessione di sovranità, al di fuori del quadro Nato, in favore di uno Stato estero seppure alleato.
Perciò la gente vuol capire e soprattutto vedere le carte e, se possibile, evitare questo nuovo fardello all’Italia che già ospita un numero eccessivo di basi militari straniere (Nato e no) che la espone a pesanti condizionamenti e a pericolose responsabilità.
D’altra parte, non è questa la prima volta che si verifica una situazione così imbarazzante.
Visti i precedenti, relativi ad altre basi Usa installate in Italia, c’è da ritenere che l’ampliamento di Vicenza sia stato pattuito in virtù dell’accordo accordo generale bilaterale, stipulato il 20 ottobre 1954, il cui contenuto rimane “riservato”, che disciplina la concessione e l’uso di basi militari a favore degli Usa.
L’inghippo nasce dal fatto che fra segreti e misteri questo tipo di accordi finiscono per essere inghiottiti dal “buco nero” della riservatezza, creatosi a partire dagli anni ’50, che non consente di vederci chiaro, nemmeno ai parlamentari e alla gran parte dei ministri.
Tale accordo è un testo di esecuzione del trattato militare bilaterale del 1952 “sulla mutua sicurezza tra Usa e Italia” che, nella fattispecie, non può essere considerato come accordo di esecuzione del Trattato Nato. Con l’aggravante che non è stato mai portato in Parlamento per la ratifica.
Tutto in segreto dunque, in Italia. Mentre i parlamenti di altri paesi ospitanti basi Usa, quali Spagna, Portogallo, Grecia e perfino Turchia, hanno da sempre deliberato sul delicato argomento. Evidentemente, il Parlamento italiano è da meno. Questo è il punto politico da cui partire per evitare in futuro situazioni incresciose come quella che stiamo vivendo e per tutelare sul serio la nostra sovranità.
A quasi 60 anni dal primo accordo bilaterale (27 ottobre 1950), non è cambiato nulla: permane il regime di segretezza a cui si è aggiunto il vincolo della reciprocità in caso di disdetta, come dichiarato dall’ex ministro della difesa Martino, nell’audizione del 21 gennaio 2003, alle commissioni di Senato e Camera.
Si tratta, dunque, di una vecchia storia che affonda le radici nella “guerra fredda” e ancora condiziona la vita delle istituzioni democratiche. Anche dopo il crollo dell’Urss e lo scioglimento del Patto di Varsavia.
Ricordo che, a metà degli anni ’80, sollevammo, per conto del PCI, la questione in Parlamento chiedendo la declassificazione dell’accordo del 1954 e dei relativi annessi e la regolarizzazione dell’intera materia ai sensi dell’art.80 della Costituzione che impone la ratifica parlamentare sui trattati che comportano, in qualche modo, una cessione di sovranità.
Forse è venuto il tempo di ri-sollevarla. Questa volta, avendo al governo una coalizione progressista, la questione potrebbe essere degnamente risolta.
26 gennaio 2007
* Agostino Spataro, giornalista e saggista, direttore di “Informazioni dal Mediterraneo” (www.infomedi.it), è stato membro delle Commissioni Esteri e Difesa della Camera dei Deputati